Rapporto 2015 Human Rights Watch: ancora un anno nero per i diritti umani in Iran | Iran Human Rights

Rapporto 2015 Human Rights Watch: ancora un anno nero per i diritti umani in Iran

Partendo dall’alto da sinistra a destra: Loghman Moradian, Zaniar Moradian, Kourosh Ziari, Saeed Rezaei, Mohammad Ali (Pirouz) Mansouri, Masoud Bastani

Il 2014 non ha visto miglioramenti significativi in materia di tutela dei diritti umani  in Iran, nel primo anno di presidenza di Hassan Rouhani. Elementi repressivi all’interno delle forze dell’ordine e dei servizi segreti e la magistratura continuano ad avere ampi poteri e ad essere i principali responsabili delle violazioni dei diritti umani. Le esecuzioni, in particolare per reati di droga, continuano ad un ritmo serrato. Le forze dell’ordine e i servizi segreti hanno arrestato giornalisti, blogger e attivisti dei social media, e i tribunali rivoluzionari hanno emesso dure condanne contro di loro.

 

Pena di Morte 

Secondo quanto riportato dai media iraniani, a partire da ottobre del 2014 le autorità hanno messo a morte circa 200 prigionieri, ma fonti dell’opposizioni sostengono che siano state impiccate senza preavviso almeno altre 400 persone. Alcune esecuzioni sono pubbliche.

Secondo la legge iraniana molti reati sono punibili con la morte, inclusi quelli che non riguardano attivi di violenza come “Offesa al Profeta”, apostasia, relazioni con persone dello stesso sesso, adulterio e reati legati alla droga. La maggioranza dei prigionieri messi a morte nel 2014 è rappresentata da persone condannate dai tribunali rivoluzionari per reati legati alla droga, dopo processi iniqui. Il 24 novembre la Corte suprema ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale Penale che ha condannato a morte  Soheil Arabi per i post che ha scritto su Facebook e che sono stati interpretati come “insulti al Profeta”.

Secondo fonti non ufficiali, almeno 8 delle persone messe a morte potevano essere minori di diciotto anni quando hanno compiuto lo stupro o la rapina, reati per i quali sono stati condannati alla pena capitale. Stando a quanto riportato, decine di rei minorenni sono nel braccio della morte e a rischio di esecuzione.

La legge iraniana consente le esecuzioni per le persone che hanno raggiunto l’età ufficiale della pubertà: 9 anni per le donne e 15 per gli uomini.

Le Autorità hanno messo a morte nel 2014 almeno 9 persone che i tribunali rivoluzionari avevano condannato per moharebeh (inimicizia contro dio), a causa dei loro legami con gruppi armati di opposizione. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, a gennaio sono stati messi a morte  per moharebeh due attivisti arabi iraniani,  Hadi Rashedi e Hashem Shaabaninejad. Il 31 maggio, è stato impiccato Gholamreza Khosravi Savadjani, condannato per i sui presunti legami con il gruppo fuorilegge Mojahedin-e Khalq. Decine di condannati per accuse collegate al terrorismo, tra cui molti curdi iraniani e baluchi, sono finiti nel braccio della morte al termine di processi iniqui. Il 12 giugno le autorità hanno informato i familiari di Ali Chabishat e Mousavi, arabi iraniani provenienti da Ahvaz in Khuzestan, che i due sono stati messi a morte e sepolti in segreto, nonostante l’appello delle Nazioni Unite.

La magistratura ha continuato a consentire le esecuzioni di prigionieri condannati per moharebeh, nonostante le modifiche al Codice penale che richiedono di rivedere e cancellare le condanne a morte a meno che non vi è la prova che il presunto autore abbia fatto ricorso all’uso delle armi.

Libertà di espressione e di informazione 

Le forze di sicurezza hanno continuato a reprimere la libertà di espressione e il dissenso. Nel mese di ottobre, secondo Reporter senza frontiere, l’Iran ha tenuto in prigione almeno 48 giornalisti, blogger e attivisti dei social media.

Nel maggio 2104 la polizia ha arrestato quattro giovani uomini e tre donne, dopo che un video, che li mostrava mentre ballavano sulle note della canzone “Happy”, è diventato virale su You Tube. Le autorità li hanno poi rilasciati per affrontare il processo per le accuse di “relazioni illecite”. A maggio una tribunale rivoluzionario di Teheran ha condannato otto utenti Facebook a un totale di 127 anni di prigione con l’accusa di aver presumibilmente postato messaggi ritenuti offensivi per il governo e per la “santità religiosa”, oltre agli altri reati.

Il 28 maggio, funzionari della sicurezza hanno arrestato Saba Azarpeik, giornalista per gli organi di stampa Etemad e Tejarat-e Farda, l’hanno tenuta in prigione per quasi tre mesi, poi è stata rilasciata su cauzione per affrontare il processo con la vaga accusa di “propaganda contro lo Stato” e “diffusione di falsità”. Il 19 giugno, un funzionario della magistratura ha annunciato che 11 persone condannate per aver “progettato siti web e elaborato contenuti per i media ostili al regime” hanno ricevuto pene detentive fino a 11 anni. Pare fossero persone collegate a  Narenji, un popolare sito web,  che i guardiani della rivoluzione hanno arrestato il 3 dicembre del 2013.

Il 22 giugno agenti di cui non si conosce l’identità hanno arrestato il corrispondente del Washington Post, Jason Rezaian, sua moglie Yeganeh Salehi, anche lei giornalista e altre due persone, un fotoreporter non identificato e la sua compagna. Durante il  periodo in cui è stato stilato il rapporto, Rezaian era ancora detenuto senza una accusa precisa e senza avere accesso a un avvocato, mentre sua moglie Salehi e gli altri due sono stati rilasciati.

Il 7 agosto del 2014, una corte d’appello ha confermato la condanna per omicidio colposo di un funzionario di polizia accusato della morte in carcere, avvenuta il 6 novembre 2012, del blogger  Sattar Beheshti. Il tribunale ha imposto un periodo di tre anni di carcere, seguiti da due anni di esilio interno, e la condanna a 74 frustate.

I funzionari giudiziari hanno costretto alla chiusura almeno quattro giornali per aver violato le restrizioni sul contenuto delle opinioni espresse. In febbraio hanno ordinato la chiusura di Aseman  e arrestato il suo direttore editoriale per un articolo che definiva le qisas, leggi retributive islamiche, come inumane. Le autorità hanno poi concesso ad alcuni giornali di tornare a pubblicare, dopo il divieto, ma hanno continuato a bloccare i siti web e le trasmissioni satellitari straniere.

Libertà di riunione e associazione

Quando è stato scritto il rapporto, decine di persone, detenute per la loro affiliazione con partiti di opposizione vietati, con sindacati o gruppi di studenti, si trovavano in prigione. La magistratura ha continuato a prendere di mira i sindacati indipendenti e non registrati. Il primo maggio la polizia ha attaccato e arrestato circa 25 lavoratori che stavano protestando per i salari bassi e per le condizioni di lavoro, davanti al Ministero del lavoro e alla stazione degli autobus di Teheran. La polizia ha portato i lavoratori presso la prigione di Evin prima di rilasciarli. Molti di loro hanno dovuto affrontare accuse relative alle assemblee illegali.

Il ministro della scienza ad interim sotto la presidenza Rouhani, Reza Faraji Dana, responsabili della maggior parte delle università dell’Iran, si è impegnato per reintegrare studenti e professori espulsi tra il 2005 e il 2012 per le loro attività pacifiche. Circa una dozzina hanno potuto continuare a studiare e insegnare, anche se, in agosto, il Parlamento ha votato per mettere in stato di accusa il ministro e si è rifiutato di confermare numerose altre candidature proposte da Rouhani per l’incarico.

Prigionieri politici e difensori dei diritti umani 

Le autorità continuano a mettere in prigione dozzine di attivisti e difensori dei diritti umani, come gli avvocati Mohammad Seifzadeh e Abdolfattah Soltani, a causa delle loro attività pacifiche o professionali. Nel mese di settembre, la corte ha annullato il divieto per Nasrin Sotoudeh di svolgere l’attività di avvocato  per i dieci anni successivi al suo rilascio nel 2013, ma il 18 ottobre la commissione disciplinare dell’Associazione dell’ordine degli avvocati iraniani ha annunciato a Nasrin Sotoudeh il ritiro dell’autorizzazione a svolgere il lavoro di avvocato,  a causa della condanna emessa dalla corte rivoluzionaria in merito alle accuse del 2011 di aver attentato alla sicurezza nazionale. Il 9 novembre, gli ufficiali di polizia convocano Narges Mohammadi, difensore dei diritti umani, per un interrogatorio, dopo che aveva tenuto un discorso in cui criticava le politiche del governo.

Figure di spicco dell’opposizione, Hossein Mousavi, Zahra Rahnavard e Mehdi Karroubi, trattenuti senza accusa e senza processo dal 2011, sono ancora agli arresti domiciliari. I prigionieri, sopratutto quelli condannati per motivi politici, hanno dovuto affrontare abusi sistematici da parte delle forze dell’ordine e sono state negate loro le cure mediche necessarie. Ad aprile,  guardie carcerarie hanno picchiato duramente dozzine  di prigionieri politici nel braccio 350 della prigione di Evin e hanno obbligato circa trenta di loro a passare tra due file di guardie che li colpivano con pugni, calci e bastonate, causando ad alcuni di loro gravi ferite, stando a quanto riportano i familiari delle vittime. Gli ufficiali hanno successivamente sottoposto almeno 31  detenuti all’isolamento prolungato e a trattamenti degradanti.

Diritti delle donne 

Nel 2014, le autorità hanno annunciato o messo in pratica politiche discriminatorie, inclusi il divieto di assumere donne nei caffè, in certi ristoranti e in altri spazi pubblici e la limitazione dell’accesso alla pianificazione familiare come parte delle misure ufficiali per incrementare la popolazione iraniana.

Il 20 giugno, le autorità hanno arrestato Ghoncheh Ghavami, 25 anni, con doppio passaporto iraniano-britannico e altri che avevano partecipato a una manifestazione pacifica contro il divieto ufficiale per le donne a partecipare alle partite di pallavolo maschile nello stadio Azadi di Teheran. Ghavami, inizialmente detenuta nel carcere di Evin, dove le autorità le avevano negato l’assistenza di un avvocato, è stata poi processata e condannata con l’accusa di “propaganda contro lo stato” in un processo a porte chiuse. A settembre le autorità hanno annunciato che Shahla Sherkat, direttrice di un nuovo periodico femminile, che sarebbe dovuta apparire di fronte al Tribunale della stampa per aver promosso idee contro l’islam.

Le donne iraniane subiscono discriminazioni in molti aspetti della loro vita, come per esempio questioni personali correlati a matrimonio, divorzio, eredità e custodia dei figli. Indipendentemente dall’età, una donna non si può sposare senza l’approvazione del suo tutore maschile e le donne, in generale, non possono trasmettere la nazionalità iraniana allo sposo straniero o ai loro figli. Il matrimonio di minorenni, anche se non é la norma, continua a esistere, poiché la legge permette alle ragazze di sposarsi a 13 anni e ai ragazzi a 15, e anche in età minore se autorizzato da un giudice.

Condizione delle minoranze 

Il governo nega la libertà religiosa ai Baha’i, la più grande minoranza religiosa non musulmana in Iran, e li discrimina. Almeno 136 Baha’i, a maggio 2014, si trovavano nelle carceri iraniane. Le autorità hanno anche profanato i cimiteri Baha’i, incluso uno a Shiraz che hanno iniziato a scavare ad aprile. Le forze di sicurezza dell’intelligence hanno anche continuato a perseguitare i musulmani convertiti al cristianesimo, i protestanti che parlano persiano, le congregazioni evangeliche e membri del movimento della chiesa locale. Molti sono stati accusati di “azioni contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro lo stato”.

Le autorità limitano la partecipazione politica e l’impiego nel settore pubblico di minoranze musulmane non sciite, inclusi i Sunniti, che costituiscono circa il dieci per cento della popolazione. Vietano anche ai Sunniti di costruire le loro moschee a Teheran e di condurre le preghiere delle eid separatamente. Il governo ha continuato a perseguitare membri degli ordini mistici Sufi, in particolare i membri dell’ordine Nematollahi Gonabadi. A marzo la polizia ha picchiato e ha arrestato diversi manifestanti che si erano riuniti fuori dal palazzo di giustizia di Teheran per chiedere il rilascio di diversi detenuti Sufi.

Il governo ha limitato le attività culturali e politiche delle comunità Azere, Curde, Arabe e Baluchi. I rifugiati Afghani e i lavoratori migranti, il cui numero si stima sia tra i due milioni e mezzo e i tre milioni, continuano a subire gravi abusi.

Attori chiave internazionali  

Il governo ha continuato a bloccare l’accesso all’Iran del relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani in Iran, Ahmed Shaeed, e di altri organismi Onu, ma ha annunciato, a novembre, che avrebbe permesso a due esperti Onu di visitare il paese nel 2015. Il relatore speciale e altri rappresentati delle Nazioni Unite hanno criticato “la crescente impennata di esecuzioni” in Iran e hanno chiesto al governo una moratoria.

Fonte: Human Rights Whatch 

 

 

 

 

 

 

 

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