Morto in carcere Afshin Osanlou, attivista per i diritti dei lavoratori e fratello del sindacalista Mansour | Iran Human Rights

Morto in carcere Afshin Osanlou, attivista per i diritti dei lavoratori e fratello del sindacalista Mansour

Afshin Osanloo

L’attivista per i diritti dei lavoratori Afshin Osanlou è stato colpito da un attacco cardiaco nella prigione di Rajai Shahr ed è morto. Afshin Osanloo era un prigioniero politico, così come il fratello Mansour Osanlou. Prima di fuggire dall’Iran, Mansour era il presidente del sindacato degli autisti degli autobus di Teheran. Aveva anche scontato una condanna al carcere per le sue attività sindacali.

Nel dicembre del 2010, Afshin Osanloo era stato arrestato ed aveva poi passato tre mesi nella sezione 209 del penitenziario di Evin senza avere il permesso di contattare la sua famiglia per far saper loro cos’era accaduto. Nel maggio 2011, è stato condannato a 5 anni di carcere con l’accusa di cospirazione contro la sicurezza nazionale e propaganda contro il regime. Questa condanna è stata poi confermata dalla corte d’appello. Durante il processo, a Osanloo è stato impedito l’accesso all’assistenza legale.

Il 6 giugno 2012, Afshin è stato brutalmente trasferito nella sezione speciale di sicurezza della prigione di Rajai Shahr. L’ordine era apparentemente partito dal consiglio disciplinare del carcere di Evin. Nessuna spiegazione è stata fornita al detenuto o alla sua famiglia. Prima del trasferimento, Osanloo stava scontando la sua condanna a Evin.

Descrivendo le torture subite per mano del regime, Afshin Osanloo ha fatto il seguente appello alla comunità internazionale il 7 agosto 2012, dalla famigerata prigione di Rajai Shahr:

“Sono Afshin Osanloo del movimento dei lavoratori iraniani; sono un autotrasportatore e ora mi trovo nel penitenziario di Rajaj Shahr. Nell’autunno del 2010, mentre riposavo nel dormitorio per autisti nel terminal passeggeri, sono stato arrestato da persone armate vestite in borghese – senza uniformi – e sono stato portato nella sezione 209 della prigione di Evin. Per 5 mesi sono stato tenuto in isolamento e sono stato interrogato e torturato.

Mi hanno colpito ripetutamente le piante dei piedi con dei fili metallici, mi hanno obbligato a correre con piedi feriti, ricoperti di piaghe e tagli, mi hanno insultato, mi hanno interrogato per settimane intere, 18 ore al giorno, e mentre lo facevano subivo pestaggi di gruppo dai quali uscivo con costole e denti rotti. Durante questi 5 mesi, la mia famiglia non ha ricevuto notizie su di me e le loro domande non hanno mai ricevuto risposta. Non mi era permessa nemmeno una telefonata alla mia anziana madre, che già soffriva per l’arresto di mio fratello Mansour, capo del sindacato degli autisti degli autobus di Teheran.

Sono sposato e ho due figli. Quando ho messo su famiglia, ho cominciato a lavorare nel cantiere edile di Khatam, nelle province isolate del sud dell’Iran. Si trattava di un lavoro duro, come costruire strade lungo il fiume Karkhe, moli fatti di roccia nel porto di Mahshahr e condutture d’acqua dal fiume Karkhe fino alla strada per Hamideh a Ahwaz. L’amore per il mio Paese mi ha aiutato a sopportare la lontananza dalla mia famiglia. Solo così ho alleviato il mio dispiacere.

Dopo 2 anni, tutti gli autisti, sia quelli con contratti temporanei sia quelli assunti, sono stati licenziati. Nel 1997, sono stato assunto dalla compagnia degli autobus di Teheran e ho lavorato in turni di 12 ore di giorno e di notte sulle più trafficate strade della città. Nel periodo in cui ho lavorato lì, assieme ai miei esperti e sinceri colleghi, abbiamo cercato di migliorare e modernizzare le condizioni di lavoro e di prevenire la corruzione, a costo di venire umiliati e ridicolizzati dalla direzione e dai capi dei differenti reparti e regioni e anche dai rappresentanti del consiglio islamico del lavoro. Tuttavia, siamo riusciti a ottenere i nostri arretrati, i bonus, le uniformi e la prevenzione del lavoro duro, nocivo per la salute e pericoloso, così come l’abolizione dei contratti temporanei, alcuni dei quali sono durati 4 o 5 anni.

Anche se non abbiamo avuto sempre successo e nonostante il fatto di essere visti come lavoratori avidi e senza gratitudine da parte dei superiori, abbiamo provato ad andare avanti. Siamo stati minacciati di licenziamento da parte dei nostri capi.

Sfortunatamente nel 2001, mentre stavo trasportando passeggeri durante il mio turno di lavoro, ho avuto un incidente che purtroppo ha causato la morte di una persona. Ho chiesto assistenza all’assicurazione aziendale, ma dopo alcuni passaggi tra la compagnia di assicurazioni e la famiglia della persona morta, la somma che mi era stato chiesto di pagare è salita da 10 a 18 milioni di Toman. La compagnia di assicurazioni è stata dichiarata legalmente non responsabile.

Le mie lamentele al dipartimento del lavoro sono state inutili finché i capi dell’azienda hanno accettato di pagare, in cambio delle mie dimissioni. E dato che non disponevo di quella somma di denaro, sono stato obbligato a fare questa scelta, che mi ha portato a perdere 4 anni di anzianità e esperienza sul campo, per non parlare degli anni spesi per questo duro lavoro, in condizioni difficili. E’ stato anche un duro colpo per la mia famiglia. Mia moglie, al tempo incinta, ha avuto un esaurimento nervoso. Da quel momento in poi, ho lavorato nel trasporto e nelle spedizioni. Il fatto che questo fosse un settore formato da privati, così come la mancanza di sindacati forti e indipendenti e i pagamenti ritardati, hanno reso difficile per gli autisti arrivare a fine mese. Di conseguenza, tutti noi abbiamo iniziato a discutere di come migliorare la situazione.

Ho avuto quattro regole nella mia vita: ero orgoglioso del mio lavoro, cercavo di rispettare tutti i miei compagni, amavo il mio Paese e il suo popolo e ero funzionale alla società crescendo i miei figli in modo tale che potessero essere utili alla stessa.

Dopo un anno di prigione nelle sezioni 209 e 380, senza poter conoscere quello che mi sarebbe accaduto, sono stato condannato a 5 anni di carcere dalla sezione 15 della Corte rivoluzionaria. In pochi minuti, sono stato accusato di essere “una minaccia per la sicurezza nazionale” e mi è stato negato l’accesso all’assistenza legale. Ho fatto opposizione al procedimento, ma non c’è stato modo per me e la mia famiglia di esaminare o quantomeno vedere la mia documentazione o le accuse contro di me.

Sono stato condannato sulla base di accuse prive di fondamento a 5 anni di detenzione, due dei quali già scontati. Cosa ho fatto contro la sicurezza nazionale? Non ho affiliazioni politiche e non appartengo a nessuna organizzazione o gruppo e tutto quello che ho fatto rientra nell’ambito della legalità e ha avuto a che fare con il sindacalismo. L’unico crimine che ho commesso è stato lavorare per i diritti dei lavoratori e il nostro arresto non ci impedirà di rivendicare i nostri diritti. E’ necessario creare sindacati legittimati e indipendenti per i diritti legali, in accordo con il ministero del Lavoro.”

Fonte: HRANA

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