Le Madri del Parco Laleh tre anni dopo: “La nostra lotta per la giustizia non si ferma” | Iran Human Rights

Le Madri del Parco Laleh tre anni dopo: “La nostra lotta per la giustizia non si ferma”

Un raduno delle Madri del Parco Laleh

Nel terzo anniversario della nascita delle Madri del Parco Laleh, il sito ufficiale del gruppo in lingua inglese ha pubblicato un comunicato che riportiamo per intero. Le Madri del Parco Laleh sono donne iraniane i cui figli sono stati uccisi per strada o in prigione nel corso della repressione seguita alle proteste per i risultati delle contestate elezioni presidenziali del 2009. Si sono unite ad altre madri i cui figli sono stati assassinati o sono scomparsi nel corso del tempo in Iran, sotto il regime della Repubblica islamica. In questi tre anni le Madri sono state a loro volta perseguitate, arrestate, condannate a pene severe, ed è stato loro impedito con la violenza di radunarsi silenziosamente – come avevano cominciato a fare – nel Parco Laleh di Teheran ogni sabato.

 

Questo il testo del comunicato:

Sono trascorsi tre anni dalle proteste popolari avvenute in Iran nel 2009. Fu quello un anno in cui le strade dell’Iran erano piene di uomini e di donne in cerca di libertà e giustizia. Persone che erano frustrate da anni di pressione e di oppressione, ispirate dal movimento politico di quei giorni e impressionate dai dibattiti televisivi della campagna elettorale [per le presidenziali del 12 giugno 2009], si convinsero che i “loro voti” avrebbero avuto un valore e che avrebbero potuto cambiare la loro situazione partecipando alle elezioni.

Dopo l’annuncio dei risultati, la gente affluì nelle strade per protestare, ma stavolta non c’era solo la gente che aveva votato. Molte persone, che avevano represso per anni le loro frustrazioni, uscirono in strada e si unirono alle proteste contro una tanto enorme ingiustizia. Tuttavia, i governanti risposero alle semplici e pacifiche proteste con gli arresti, la tortura, i proiettili e gli assassinii. Questi arresti e questi omicidi, una volta di più, spinsero le madri di molti prigionieri a cercare di scoprire cosa fosse accaduto ai loro figli radunandosi davanti alle carceri, ai tribunali, ai cimiteri, e molte madri finirono per dover piangere i propri figli. Le madri in lutto e le famiglie dei prigionieri politici vestivano in nero come segno della loro ricerca di giustizia per i loro figli assassinati, protestando contro la repressione, gli arresti, le torture, le uccisioni, e chiedendo processi e pene per coloro che erano stati responsabili dei crimini commessi nelle prigioni e nelle strade.

Durante un raduno del 25 giugno 2009, come simbolico atto di protesta, le Madri in lutto annunciarono che si sarebbero radunate ogni sabato dalle 7 alle 8 di sera a Piazza Fontana nel Parco Laleh, e in altri parchi di Teheran, e che portando fotografie dei loro figli e delle loro figlie avrebbero acceso candele e avrebbero fatto sentire le loro voci in tutto il mondo, e che non avrebbero mai smesso di combattere fino a quando le loro richieste non fossero state accolte. In seguito all’annuncio di questo raduno, vari gruppi, sostenitori delle Madri in lutto, si formarono sia nelle città iraniane che in tutto il mondo. Anche questi gruppi si radunarono in segno di protesta ogni settimana per mostrare la loro solidarietà alle Madri in lutto.

Il movimento di protesta delle Madri in lutto cominciò il 27 giugno 2009. Da quel giorno in poi, un gran numero delle madri e delle loro sostenitrici (circa 90) sono state soggette ad attacchi ed aggressioni delle forze dell’ordine e sono state arrestate. Per tutto quel periodo, queste persone e i membri delle loro famiglie sono stati soggetti a minacce, persecuzioni, ordini di comparizione, pestaggi da parte delle forze della repressione. Tuttavia di giorno in giorno il legame tra queste madri è divenuto sempre più forte e loro sono diventate ancora più determinate a lottare con di varie forme di attivismo civile. Esse hanno sostenuto le loro richieste con ostinazione radunandosi di fronte al carcere di Evin (Teheran), alle sedi del Tribunale rivoluzionario, o in vari parchi, mostrando il loro sostegno ai prigionieri in sciopero della fame, partecipando alle commemorazioni di coloro che erano stati uccisi, recandosi in visita alle famiglie delle vittime assassinate a Teheran e in altre città, e simpatizzando con loro, protestando contro le esecuzioni. Il movimento di protesta ha guadagnato un largo sostegno da parte di diversi gruppi politici e sociali in tutto il mondo e un gran numero di attivisti per i diritti umani ha pubblicamente dichiarato il suo supporto alle Madri in lutto. Questo sostegno continua e, ogni giorno, questa rete di persone in cerca di giustizia attrae nuovi simpatizzanti. Tra loro ci sono attivisti per i diritti umani e per la pace di alto profilo, iraniani e internazionali, attiviste nei movimenti femministi, organizzazioni studentesche, artisti del cinema e del teatro, poeti e scrittori, e anche le Donne vestite di nero e le Madri argentine di Plaza de Mayo.

Nel primo anniversario di questo movimento di protesta, le Madri in lutto hanno cambiato il loro nome in “Madri del Parco Laleh” e, chiarendo in modo specifico i loro obiettivi, hanno continuato le loro attività, e non si sono fermate fino ad oggi, insistendo sulle loro richieste.

Le Madri del Parco Laleh si presentano nei seguenti termini:

Siamo un gruppo di madri e di parenti di quelle persone che o sono state uccise o sono state in vario modo colpite durante il governo della Repubblica islamica e, cercando giustizia, poniamo le seguenti richieste:

  1. Chiediamo la fine della pena capitale e delle esecuzioni di esseri umani in ogni forma o modalità.
  2. Chiediamo il rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri politici e di coscienza.
  3. Chiediamo un processo pubblico e giusto per tutti i responsabili dei crimini commessi dalla Repubblica islamica fin dal suo inizio.

Noi, le Madri del Parco Laleh, riteniamo che sia un crimine mettere a morte persone individualmente o in gruppi nelle carceri, così come uccidere e assassinare nelle strade obiettivi etnici, nazionali, religiosi, politici e ideologici, attaccare le case, i dormitori degli studenti, i luoghi di lavoro, sequestrare, arrestare e ferire delle persone con lo scopo di uccidere idee umane, torturare, ottenere confessioni forzate, stuprare, uccidere per lapidazione o per vendetta. Lottiamo per impedire questi crimini e per migliorare le condizioni di umanità della nostra gente.

In quanto madri, cerchiamo di costruire un ambiente sicuro ed umano, lontano dalle guerre e dagli spargimenti di sangue, dalla discriminazione e dall’umiliazione. Tuttavia riteniamo che, allo scopo di impedire che tali crimini abbiano luogo, sia un imperativo categorico che tutti quei soggetti i quali, direttamente o indirettamente, hanno perpetrato reati durante il governo della Repubblica islamica, debbano essere processati da tribunali giusti, pubblici e popolari, e che debbano essere chiamati a rispondere per i loro atti disumani e ricevere pene proporzionate ai loro reati, nonché riabilitati e rieducati alla comprensione e al rispetto delle idee umane.

In quanto madri, chiediamo che tutti coloro che, nel corso degli anni, sono stati vittime o testimoni di questi crimini si uniscano a noi e alla nostra ricerca di giustizia. Come vittime della violenza e della discriminazione contro le donne, noi sosteniamo tutte le azioni che contrastano la violenza e perseguono l’uguaglianza e la rimozione di ogni discriminazione, e invitiamo tutte le vittime della violenza a unire le loro forze con noi.

Negli ultimi tre anni noi, le Madri del Parco Laleh, non abbiamo mai mancato, neppure per un secondo, di perseguire le nostre richieste, e abbiamo cercato continuamente di spingere le autorità a rispondere ai membri delle famiglie. Abbiamo cercato di essere forti alleati di tutti quelli che sono stati colpiti e che domandano giustizia dalla Repubblica islamica. Lo abbiamo fatto partecipando a proteste popolari, simpatizzando con le famiglie delle persone uccise, scrivendo lettere di protesta e resoconti della nostra ricerca di giustizia, scrivendo lettere ai rappresentanti delle organizzazioni per i diritti umani, scrivendo lettere ad Ahmed Shaheed [Relatore speciale delle Nazioni unite sulla situazione dei diritti umani in Iran], organizzando manifestazioni in vari paesi e portando il grido di protesta del popolo iraniano all’estero, lanciando diverse campagne per il rilascio degli altri prigionieri politici, scrivendo comunicati e lettere di protesta per chiedere l’annullamento delle pene disumane che sono state comminate e della pena capitale, protestando contro le terribili condizioni delle prigioni e dei prigionieri, protestando per l’indifferenza nei confronti dei diritti delle famiglie di coloro che sono stati uccisi, che hanno bisogno di sapere “perché” e “come” gli omicidi sono avvenuti, e per impedire l’ingiustizia e la discriminazione.

Sono trascorsi tre anni dalla rivolta popolare contro i risultati elettorali; tuttavia le autorità non hanno dato risposte alle domande del popolo iraniano e alle tre richieste delle Madri. Fino ad oggi, nessuno dei soggetti responsabili della sanguinosa repressione dei figli di questa terra è stato punito. Al contrario, essi hanno intensificato le minacce e le pressioni su tutte le vittime della violenza e hanno processato e arrestato alcune delle Madri del Parco Laleh con l’accusa di aver espresso solidarietà e sostegno alle famiglie dei prigionieri politici che erano stati uccisi o che erano in carcere.

Queste pressioni sono cominciate proprio all’inizio del movimento per la giustizia delle Madri del Parco Laleh e continuano tuttora. Nel corso di questi anni, molte di loro sono state vittime di persecuzioni e di abusi per avere sostenuto le madri in lutto che protestavano per i crimini commessi in 33 anni di Repubblica islamica. Molte sono passate attraverso periodi di detenzione, molte altre sono state costantemente perseguitate da convocazioni e chiamate minacciose, e alcune sono state sottoposte a processi illegali e para-giudiziali e condannate con sentenze pesanti, e altre ancora sono state spinte a lasciare il paese. Le condanne alla detenzione di due madri e di un loro sostenitore, Jila Karamzadeh Makvandi, Leila Seifollahi e Nader Ahsani, sono state confermate in corte di appello, e Jila Karamzadeh Makvandi, nonostante le sue precarie condizioni di salute, è stata arrestata il 26 dicembre 2011 per scontare una pena di due anni. Leila Seifollahi è stata condannata a due anni da scontare, e a due di pena sospesa, mentre Nader Ahsani è stato condannato a due anni di detenzione. Inoltre, condanne al carcere sono state comminate a Mansoureh Behkish (4 anni e mezzo), Mehdi Ramezani (3 anni), Hakimeh Shekari (3 anni), Neda Mostaghimi (3 anni) e Seyed Mohammad Ebrahimi (5 anni). In più, le seguenti persone sono in attesa del verdetto della corte d’appello dopo il processo di primo grado: Jila Mahdavian, (3 anni da scontare e 2 di pena sospesa), Maryam Najafi (6 mesi di pena sospesa) e Omolbanayn Ebrahimi (3 anni di pensa sospesa).

In questi anni, nessuna quantità di minacce, tattiche intimidatorie, arresti, detenzioni e decisioni dei tribunali contro le Madri ha fermato o impedito il movimento di protesta delle Madri del Parco Laleh. Al contrario, quanto più le autorità si sono astenute dal dare risposte, tanto più forte è diventata la nostra determinazione nel chiedere il rispetto dei nostri diritti umani. Prendendo lezioni dalle nostre passate esperienze e per impedire che la storia si ripeta, abbiamo steso le mani insieme a tutte le famiglie di coloro che sono stati uccisi come prigionieri politici nel passato e oggi, nel corso di 33 anni di crimini della Repubblica islamica, e continuiamo ad insistere con costanza e fermezza sulle nostre tre richieste!

Le Madri del Parco Laleh

26 giugno 2012

 

Fonte: Sito ufficiale in lingua inglese delle Madri del Parco Laleh

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