Il movimento delle donne iraniane soffocato dalla repressione del regime | Iran Human Rights

Il movimento delle donne iraniane soffocato dalla repressione del regime

L’analista Ida Lichter ha pubblicato sull’Huffington Post un articolo sulla situazione del movimento delle donne in Iran. Di seguito la traduzione.

 

Alle donne iraniane è vietato candidarsi alle elezioni presidenziali del 14 giugno, e restrizioni sempre crescenti le stanno soffocando. Cosa è accaduto al movimento di protesta delle coraggiose donne iraniane che ha dato l’ispirazione alle rivolte delle cosiddette Primavere Arabe?

Un membro del Consiglio dei Guardiani – che valuta i candidati alle elezioni in base alle loro credenziali islamiche – ha dichiarato che le donne erano escluse dalla possibilità di candidarsi. Secondo la Costituzione, il Presidente Mahmoud Ahmadinejad non può presentarsi per un terzo mandato consecutivo e dei 686 candidati in competizione per prendere il suo posto solo otto hanno passato il vaglio del Consiglio dei Guardiani. Due di loro si sono ritirati dalla corsa. Tutti i sei rimasti sono associati alla Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei. Tra questi il favorito [anche se in realtà i sondaggi dell'ultima ora danno in testa Ghalibaf e Rouhani, n.d.t.], Saeed Jalili, un idelogo islamico e un protetto di Khamenei.

Le attiviste per i diritti delle donne sono ostacolate dalle limitazioni alla libertà di parola e di assemblea. Inoltre la costituzione iraniana è fondata sul principio della velayat-e faqih, cioè sul potere assoluto di un religioso islamico, e sulla rigida interpretazione della sharia (la legge islamica). Le donne che non indossano lo hijab, il velo musulmano, in aree pubbliche possono essere condannate alla fustigazione, e la legge stabilisce che la vita di una donna vale solo la metà di quella di un uomo. L’articolo 1133 del codice civile prevede che un uomo possa divorziare da sua moglie quando vuole, e l’articolo 1117 assicura al marito il diritto di veto sulla scelta della professione compiuta da sua moglie.

Il movimento femminista iraniano ha una lunga storia di battaglie contro la discriminazione e la violenza di stato, tra cui le condanne alla lapidazione per adulterio. Si è caratterizzato come il più combattivo movimento di questo tipo nel mondo islamico, e durante il periodo riformista della presidenza Khatami gli attivisti hanno creato più di 600 Ong e partecipato a tutta una serie di proteste in piazza.

La sua Campagna un milione di firme aspirava a creare consapevolezza e a portare in parlamento una petizione per l’abrogazione delle leggi discriminatorie in base al genere come quelle sulla poligamia, la custodia dei bambini affidata agli uomini in caso di divorzio, il diritto di una donna a ricevere solo la metà dell’eredità di un uomo, e sul valore della testimonianza di una donna in tribunale, che pesa la metà rispetto a quella di un uomo. Altre richieste legislative comprendevano la libertà di abbigliamento, parità di diritti coniugali, l’abolizione delle quote di genere nelle università e pari compensazione tra uomo e donna in caso di infortunio.

A dispetto dell’insistenza di coloro che protestavano nel ribadire che non si opponevano alla religione o al sistema politico, esse sono state spesso picchiate e arrestate, talvolta da una forza di polizia esclusivamente femminile, appositamente impiegata dalle autorità governative.

Quando le dissidenti sono approdate su Internet come strumento di espressione e di comunicazione, il regime ha arrestato blogger e bloccato siti dedicati ai diritti delle donne.

Il governo ha consentito alle donne di accedere all’istruzione universitaria, ma l’anno scorso sono stati annunciati divieti per gli ingressi delle donne in 36 università per 77 settori di studi, tra cui scienze, ingegneria e gestione manageriale.

Un numero crescente di donne prigioniere di coscienza sta languendo nel carcere di Evin a Teheran, e alcune di queste donne scontano condanne legate alle manifestazioni seguite alle contestate elezioni del 2009. L’avvocata Nasrin Sotoudeh difendeva prigionieri politici finché lei stessa non è stata arrestata e condannata.

Mentre le elezioni sono ad un passo, molti giornalisti iraniani sono sempre più fatti oggetto di intimidazioni e di preoccupanti repressioni pre-elettorali. Quaranta giornalisti sono attualmente in prigione, un livello di censura secondo solo a quello della Turchia, dove i giornalisti in carcere sono 70.

Alcuni anni or sono, i tentativi del regime di stringere il cappio della misoginia e di negare altre libertà fondamentali avrebbe incontrato una ferma opposizione e la collera si sarebbe riversata nelle strade. Ma i riformatori sono bloccati dalle restrizioni di stato e avviliti dalla demoralizzazione seguita alla mancanza di sostegno occidentale dopo le contestate elezioni e le sanguinose proteste del 2009. Il regime ha anche soffocato i dissidenti espandendo i Basiji, una milizia popolare composta di membri indottrinati religiosamente, impiegata durante le manifestazioni, per demolire l’opposizione e marginalizzare i riformisti. Questa assai temuta organizzazione paramilitare ha inviato centinaia di migliaia di volontari per bonificare i campi minati durante la guerra Iran-Iraq, e ha contribuito alla distruzione del Movimento verde nel 2009.

Da allora, il gruppo è stato affiancato dal suo omologo femminile, l’Organizzazione dei basiji delle donne. Secondo il direttore oltre 5 milioni di membri hanno aderito a migliaia di sezioni sparse in tutto l’Iran, in un’organizzazione che cinicamente scatena donne contro altre donne.

 Ida Lichter

 

Fonte: Huffington Post

Iran Human Rights Italia Onlus è la sezione italiana di Iran Human Rights(IHR), organizzazione non governativa, apartitica e politicamente indipendente che ha sede a Oslo ed è attiva dal 2007.

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