Shahrokh Zamani chiede aiuto all’inviato speciale dell’Onu per i diritti umani in Iran | Iran Human Rights

Shahrokh Zamani chiede aiuto all’inviato speciale dell’Onu per i diritti umani in Iran

Shahrokh Zamani

In una lettera aperta dal carcere di Rajai Shahr, Shahrokh Zamani, noto attivista per i diritti dei lavoratori e membro del Comitato per la promozione dei sindacati liberi dei lavoratori e della Associazione dei pittori di Teheran, si rivolge all’opinione pubblica affinché si faccia suo portavoce in ogni parte del mondo. Secondo quanto riportato dal sito di Meli Mazhabi (Coalizione Religiosa Nazionale), Shahrokh Zamani, che attualmente sta scontando una condanna a 11 anni in esilio nella prigione di Rajai Shahr, ha descritto, in una lettera aperta all’inviato speciale dell’Onu per i diritti umani in Iran, Ahmed Shaheed, le torture e le pressioni che ha subito mentre si trova in carcere.  

Di seguito trovate l’intero contenuto della lettera:

Sono Shahrokh Zamani, ho 30 anni e sono residente a Teheran. Sono un membro dell’Associazione dei pittori di Teheran e del Comitato per la promozione dei sindacati liberi dei lavoratori. Sono stato ingiustamente arrestato dagli agenti del ministero della Sicurezza il 5 giugno del 2011, mentre stavo visitando, con i miei genitori, la città di Tabriz (provincia a est dell’Azerbaijan) e accusato senza alcuna prova riguardo alla natura dei miei presunti crimini.

Dopo 40 giorni di torture psicologiche e fisiche e 40 giorni di sciopero della fame in segno di protesta per questo trattamento illegale e inumano, sono stato trasferito nella prigione centrale di Tabriz, dopo aver perso 27 kg senza, però, cedere ad una falsa confessione.

Nonostante non ci fosse uno straccio di prova contro di me e anche se dagli interrogatori non hanno ottenuto nessuna confessione da parte mia, sono stato malignamente accusato di “propaganda contro il regime” e  della “creazione di gruppi socialisti” e condannato dalla Corte Rivoluzionaria di Tabriz all’obbligo di trascorrere 11 anni dietro le sbarre. Non c’è bisogno di dire che ho sempre negato tutte le accuse contro di me. Quando ho chiesto al giudice che presiedeva il mio processo perché mi è stata inflitta una condanna severa, ha solo risposto: “Chi pensi che io sia, signore? Io sono solo un dipendente  che sta seguendo gli ordini in un sistema fortemente gerarchizzato”.

Il carcere di Tabriz è una delle più note prigioni dell’Iran, rinomata per le sue guardie sanguinarie, tristemente famose per il trattamento illegale, inumano e mortale che adottano con i detenuti.  I prigionieri politici dietro le sbarre della prigione di Tabriz si vedono negare i loro diritti fondamentali come i permessi di uscita dal carcere, la libertà condizionata e persino l’accesso alla biblioteca della prigione che è strettamente controllata dai funzionari della prigione. I prigionieri sono sottoposti alle peggiori forme di tortura psicologica e fisica, incluso scatenare detenuti violenti accusati di crimini comuni contro i prigionieri politici, che sono costretti a coabitare nello stesso braccio. Data la totale mancanza di regole, risse e attacchi (piccoli o grandi episodi) tra i carcerati accusati di crimini comuni e i prigionieri politici che convivono sotto lo stesso tetto sono all’ordine del giorno.

In una stanza non più larga di 20 metri sono stati piazzati 21 letti; una stanza ospita più di 40 prigionieri alla volta. In un giorno normale, almeno 7 criminali comuni violenti vengono messi assieme a noi con il compito di spiare e intimidire fisicamente i prigionieri.

I prigionieri politici sono in contatto con persone sieropositive e malate di epatite. Questa condizione, oltre al fatto di essere continuamente oggetto di scherno da parte delle guardie carcerarie, è una delle più snervanti forme di tortura psicologica sopportata dai prigionieri politici.

Nel 2011 sono stato trasferito dalla mia cella (un paradiso in confronto a quel che mi aspettava) alla sezione 12, quella controllata dal ministero dell’Intelligence, per essere torturato. La sezione 12 è  un’area in quarantena per criminali pericolosi. Molti dicono che la maggior parte dei prigionieri non sono capaci di tollerare quella condizione per più di tre giorni. Poi sono stato trasferito alla sezione 15, conosciuta come il braccio del metadone, assieme a un altro attivista per i diritti dei lavoratori, Jomhour Azgoch [membro del Partito dei lavoratori del Kurdistan] in una stanza che ospitava più di 50 detenuti affetti da Aids ed epatite.

Nell’aprile 2012, nonostante io non abbia mai commesso alcun crimine, le autorità carcerarie hanno falsificato i documenti, dichiarando che io avrei richiesto un trasferimento e di conseguenza sono stato spostato nella città di Yazd. Dopo essere stato accusato di aver passato delle informazioni riguardante la situazione nella prigione di Yazd, sono stato mandato di nuovo indietro alla sezione di trattamento 8 del carcere di Tabriz, dove ho collaborato con altri prigionieri politici, mandando 14 lettere all’Organizzazione delle Prigioni Statali, sottolineando le violazioni dei diritti umani e la persecuzione dei prigionieri politici da parte delle guardie carcerarie e chiedendo l’immediata concessione dei nostri diritti legali come quello ai permessi, ai rilasci condizionati, all’uso di strutture per gli esercizi e l’accesso a lezioni tecniche e professionali, solo per citarne alcuni.

Per rappresaglia, le autorità carcerarie hanno obbligato i prigionieri comuni a denunciare me e un certo numero di altri detenuti, sostenendo che avevamo insultato il leader supremo, i prigionieri comuni e persuaso altri detenuti sindacalisti a indire uno sciopero.

Un caso è stato sottoposto all’undicesimo tribunale di circoscrizione e di conseguenza sono stato mandato in esilio nella prigione di Rajai Shahr, nella città di Karaj. L’aspetto piuttosto interessante è che due dei prigionieri che avevano sporto denuncia contro di me si sono poi pentiti della loro decisione.

Mr. Ahmed Shaheed,

Nonostante le numerose denunce da parte dei miei familiari a una serie di entità legali come l’ufficio del Supremo Leader e la Corte suprema dei diritti umani, solo per citarne alcune, alla data di oggi non abbiamo avuto alcun riscontro se non intimidazioni e minacce. In seguito alle continue pressioni e minacce alla mia famiglia, vorrei condividere con lei il fatto che al mio avvocato è stato detto da parte di un esperto della Corte Suprema che secondo il suo punto di vista le accuse mosse contro di me erano terribilmente ingiuste e non c’era ragione che il giudice emettesse una sentenza così aspra. Un esperto di diritti umani ha detto a mia moglie che nulla si può fare riguardo alla mia situazione dato che la sentenza era stata emessa da autorità di alto rango, consigliandole di rivolgersi piuttosto a organizzazioni internazionali per i diritti umani. Apparentemente il giudice aveva ricevuto pressioni e successivamente aveva dichiarato di essere nient’altro che un subordinato che fa il suo lavoro ed esegue gli ordini all’interno di un complesso sistema gerarchico.

Signor Ahmed Shaheed, noi prigionieri politici non abbiamo altra risorsa se non quella di rivolgerci alle organizzazioni per i diritti umani. Lei è l’unica nostra speranza.

In conclusione vorrei ribadire che la mia vita è stata minacciata sia direttamente che indirettamente dal ministero dell’Intelligence. Queste minacce hanno incluso, ma non si sono limitate solo a questo: l’avvelenamento, l’esposizione a detenuti affetti da Aids, l’incitare carcerati mentalmente instabili, violenti e pericolosi ad attaccarmi e le provocazioni di agenti dei servizi segreti infiltrati tra i prigionieri che mi incoraggiavano a scappare, così da poter essere ucciso durante la fuga. Fortunatamente, mi sono dissociato da questi detenuti dopo che questi sono stati identificati e smascherati. Sono stato ripetutamente avvertito, da un certo numero di guardie gentili e benevole, di stare attento visto l’esempio del signor Emani, un ingegnere che è stato ucciso, caduto nella trappola di una fuga assistita dalla prigione. Voglio dunque avvertire tutti che se io muoio in prigione, la responsabilità della mia morte è delle autorità.

Mentre guardo a un future ricco di umanità e privo di ogni forma di discriminazione e oppressione, la saluto con un caloroso abbraccio e un grazie sincero in anticipo per tutto il suo sopporto e il suo lavoro.

Shahrokh Zamani

Prigioniero presso il carcere di Rajia Shahr, Iran

Fonte: Kaleme

 

 

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