“Fatemelo riportare a casa.” La supplica di Antonella, moglie di Ghassemi-Shall (dal Toronto Star) | Iran Human Rights

“Fatemelo riportare a casa.” La supplica di Antonella, moglie di Ghassemi-Shall (dal Toronto Star)

Hamid Ghasemi-Shall con sua moglie Antonella Mega

“Tutto quello che chiedo è la possibilità di riportarlo a casa,” dice Antonella Mega, moglie italiana di Hamid Ghassemi- Shall, cittadino canadese e iraniano, condannato a morte e a rischio imminente di esecuzione a Teheran. Il maggiore quotidiano canadese, il Toronto Star, il 27 maggio scorso ha dedicato un articolo al quarto anniversario della prigionia nel carcere di Evin per Hamid. L’articolo è firmato da Olivia Ward. Ne riportiamo di seguito la traduzione integrale. Della storia di Ghassemi-Shall e dell’appello in suo favore diffuso da Amnesty International, abbiamo già scritto in precedenza (leggi l’articolo).

 

QUATTRO ANNI DI CARCERE SONO UN PESANTE FARDELLO PER LA MOGLIE DEL CONDANNATO

di Olivia Ward

E’ un anniversario che nessuna coppia dovrebbe annotare: la data segnata con un cerchio nero sul calendario, quella che ricorda i quattro anni nella temuta prigione di Evin per il cittadino canadese Hamid Ghassemi-Shall.

Il 43enne venditore di scarpe di Toronto si trova sotto la minaccia di una sentenza di morte che potrebbe essere eseguita in qualsiasi momento. Ma è anche una condanna a un’insostenibile dolore per sua moglie, che vive nel terrore di quello che ogni giorno potrebbe portare.

“Questi quattro anni hanno sconvolto la mia vita,” dice Antonella Mega. “Essere accusati di falsità e condannati a morte è l’orrore peggiore che chiunque possa immaginare, non solo per se stesso, ma anche per la propria famiglia.”

Nel corso di anni di tensione senza tregua – dal momento che il marito è sospeso tra la vita e la morte – Mega ha perso il suo lavoro, gran parte del suo sostentamento, la sua salute emotiva e fisica e le sue speranze per il futuro. Una pena che viene inflitta ogni giorno a una vittima innocente catturata in un incubo sul quale non ha alcun controllo.

“Ero solita avere desideri e fare progetti,” dice. “Volevamo adottare un figlio. Volevamo la vita normale che tutti sognano. Adesso è impossibile. Sia per la mia famiglia che per quella di Hamid la conversazione si svolge sempre attorno a questo argomento terribile che sta schiacciando tutti noi.”

Ghassemi-Shall fu arrestato a Teheran con l’accusa di spionaggio nel maggio 2008 mentre era in visita presso l’anziana madre. Venne processato e condannato a morte da un tribunale che non ammise alcuna difesa. Da allora è stato adottato come prigioniero di coscienza da Amnesty International e il governo e il Senato del Canada hanno richiesto il suo rilascio.

L’arresto fece seguito a quello di suo fratello Alborz Ghassemi-Shall, un ex ufficiale di marina morto come conseguenza degli interrogatori a Evin. Le autorità iraniane sostengono che i due erano coinvolti in una cospirazione contro il governo, facendo riferimento a un messaggio email che essi si sarebbero presumibilmente scambiati – ma Mega nega che quel messaggio sia mai stato inviato.

Questi drammatici eventi erano quanto mai lontani dalla mente dell’analista di sistemi aziendali, italiana di nascita, in quel giorno d’estate del 1995 in cui entrò nel negozio di calzature Calderone nell’Eaton Centre e cominciò a chiacchierare con quell’estroverso commesso dagli occhi scuri. Lei gli lasciò il suo biglietto da visita. E, nel volgere di pochi mesi, avevano progettato di passare insieme il resto della loro vita.

“Siamo persone che amano molto la vita all’aria aperta,” lei racconta. “D’estate andiamo a fare windsurf. Ci piace campeggiare. Hamid era un marito fedele e stava ristrutturando casa. Era proprio una vita normale.”

Con l’arresto di Ghassemi-Shall tutto è finito.

“Quando l’ho saputo, continuavo a pensare che non poteva essere vero,” ha detto Mega. “Solo la gente che fa qualcosa di male va in galera. Non potevo associare questo tipo di accusa a Hamid.”

Sconvolta dall’enormità della notizia, si diede da fare in modo frenetico. Dapprima contattando le autorità governative e le associazioni per i diritti umani, e infine i media. Le campagne sui social media per liberare suo marito si sono moltiplicate e lei ha viaggiato per il paese per far crescere il sostegno, spremendo le sue risorse finanziarie fino al punto di rottura.

“Per i primi 18 mesi è stato come trovarsi in un buco nero,” ricorda. “Non potevo scoprire cosa stesse accadendo a Hamid. Dovevo mettere in fila un piede davanti all’altro e continuare ad andare avanti per fare tutto quello che potevo. Ogni mia energia era dedicata a questo.”

Adesso che si trova nel braccio della morte – in attesa di un ordine di esecuzione imminente – Ghassemi-Shall è autorizzato occasionalmente a fare telefonate, e la loro irregolarità non fa che aumentare la tensione e l’incertezza nella vita di Antonella.

La voce che tanto desidera ascoltare la riempie anche di disperazione per la sua impotenza. “E’ così dura per lui laggiù, e lui vive per queste telefonate. Ma per me è difficile riuscire ad essere positiva, perché non ho molti passi avanti da raccontargli. Tuttavia sto ancora supplicando chiunque voglia ascoltare o aiutare.”

Per salvare la vita di suo marito, Antonella ha rivolto appelli ai governi canadese e iraniano, e recentemente ha incontrato funzionari dell’ambasciata iraniana di Ottawa. Su loro consiglio, ha fatto richiesta di un visto per Teheran, dove implorerà il rilascio di Hamid per gravi motivi di famiglia.

“C’è pietà e c’è compassione nell’Islam,” dice. “Tutto quello che chiedo è la possibilità di riportare a casa Hamid.”

 

Fonte: The Toronto Star

 

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